BREVE GUIDA
CENTRO DELLE TRADIZIONI POPOLARI E CONTADINE
GARAVELLE
“Coltiveremo ancora la mela del Castagno, la santolina e l’erba viperina, cercheremo altre piante da frutto da piantare, le galline continueranno a dormire sulle piante e a fare le uova in giro, i ragni faranno le loro ragnatele che portano fortuna, le rose di San Lorenzo continueranno a profumare la casa e i nostri piatti, il camino sarà sempre acceso, ascolteremo la musica del fuoco e racconteremo dei ribelli della montagna, il forno verrà acceso per fare il baldino e al mostard a, nell’orto ci saranno i pomodori e l’ortica, poteremo la vigna e faremo il vino, metteremo da mangiare alla finestra per le cinciallegre e la faina, faremo i cesti di frutta e assaggeremo il moscatello, andremo all’ombra della grande quercia e ricorderemo…”
Livio Dalla Ragione
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Centro delle Tradizioni Popolari di Garavelle
Il Marchese Gioacchino Capelletti, presunto discendente di Giulietta Capuleti, nacque a Rieti nel 1876 e sin da ragazzo ebbe una fortissima passione per il modellismo e per le macchine che lo portarono nell’arco della sua vita ad essere unico artefice dei modelli e del museo fermodellistico di Villa Garavelle a Città di Castello. La Villa, residenza del Marchese Capelletti, è ricordata nelle carte storiche cittadine fin dal Rinascimento come proprietà del Cardinale Vitelli, membro illustre della famiglia che caratterizzò questo periodo storico a Città di Castello, rendendola unico esempio in Umbria di città con edifici marcatamente rinascimentali. La Villa fu destinata fin dal 1963 ad accogliere la collezione fermodellistica che per ricchezza di esemplari e per rigore, nella ricostruzione dei singoli modelli, non ha eguali in Italia.
Per il museo di fondamentale importanza fu la figura di Livio Dalla Ragione, ideatore e creatore del Centro delle Tradizioni Popolari di Garavelle.
Livio nato a Pieve Santo Stefano in provincia di Arezzo da bambino si trasferì con la famiglia a Città di Castello. Intorno ai vent’anni, durante la guerra, fu a capo di un gruppo di partigiani, è in questo periodo che nasce il profondo attaccamento al mondo contadino e soprattutto verso le contadine che aiutarono i partigiani in quei difficili momenti.
Dopo la guerra si trasferì a Roma dove aprì uno studio artistico.
Improvvisamente, però, interruppe la carriera artistica, rifiutando questa fase della sua vita, tant’è che arrivò a bruciare molti dei suoi avoril.
Il grande attaccamento alle sue radici, alle sue origini e il bisogno di cose più semplici lo riportano negli anni Sessanta nella sua terra, a San Lorenzo di Lerchi.
Lo studio delle tradizioni e il bisogno di salvare una cultura tramandata solo oralmente di padre in figlio lo portarono con grande determinazione alla fondazione del Centro di Garavelle come luogo dove poter salvare e insieme comprendere la funzione degli oggetti e la cultura contadina nel suo insieme.
Il percorso inizia dalla zona coperta esterna dove sono esposti attrezzi e oggetti legati al lavoro dei campi. Tra questi sono visibili:
- La macchina per battere il grano o trebbiatrice, la cui costruzione risale alla seconda metà del 1800, era azionata dalla locomobile a vapore, con la caldaia che mediante una cinghia molto lunga e robusta collegava le pulegge, ovvero le ruote su cui scorre la cinghia, delle due macchine. I contadini si aiutavano vicendevolmente e l’unica ricompensa per il lavoro svolto era il pasto.
Il pranzo della “battitura” era una festa alla fine del duro lavoro ed era composto da tagliatelle al sugo d’oca , arrosto, torcolo e vin santo.
- La treggia, mezzo di trasporto senza ruote era realizzato con un sapiente incastro di legni e veniva utilizzato per raggiungere luoghi inaccessibili con mezzi a ruota.
Si utilizzava per esempio per riportare la legna dalle zone boschive dove veniva tagliata. Poteva avere una parte superiore chiamata ciovea, simile ad una cesta, fatta di rametti di salice intrecciati, che serviva per contenere e trasportare cose più piccole come i foraggi e i prodotti orticoli in genere.
- Il capannello, è un particolare cesto dotato di apertura superiore, sportello e lunghi manici che serviva per trasportare la chioccia ed i suoi pulcini. In particolari periodi veniva utilizzato come incubatrice per creare un posto sicuro e protetto alla chioccia.
- I vecchi aratri in legno, usati per solcare il terreno, che il contadino realizzava personalmente con maestria da un tronco di rovere o di cerro. Fra i vari modelli quello più ingegnoso è detto voltarecchio il nome deriva dal fatto che è in grado di rivoltare la terra a destra o a sinistra rispetto alla direzione di avanzamento. Orecchio è il termine con cui si indica la lama che serve a tagliare il terreno.
Continuando per il vialetto vi è l’essicatoio per il tabacco, qui le preziose foglie venivano messe ad essiccare. La funzione di essicatoio è evidenziata dai tanti comignoli presenti sul tetto che servivano per l’uscita dei fumi.
Arrivando di fronte alla casa colonica, sulla cui facciata si arrampica la pianta di vite, ci accoglie l’aia, un grande spazio nel quale si svolgevano la gran parte delle attività legate al lavoro dei campi e alla vita quotidiana. Qui si allocava il mucchio di grano da trebbiare, detto barcone, e si mettevano ad asciugare granturco, ceci e fagioli.
A lato della casa il piccolo orto in cui il contadino piantava ortaggi ed erbe aromatiche, i cosiddetti “odori” che venivano e vengono tutt’ora utilizzati in cucina per aromatizzare ed insaporire le pietanze.
Davanti al piccolo orto si possono osservare le grandi cisterne contenenti l’acqua proveniente da una sorgente che scende dalla zona sovrastante la proprietà. L’acqua serviva per la casa, per innaffiare l’orto e le piante vicine alla casa ed abbeverare gli animali.
Oltre le cisterne trova spazio in un ambiente la ricostruzione ideale di un momento di vita di Gesù Bambino. San Giuseppe è rappresentato mentre svolge il suo lavoro di falegname, mentre la Vergine come tutte le donne del suo tempo è dedita alla tessitura su telaio. Entrambe queste attività ben si collocano nel Centro di Garavelle poiché sono le stesse che praticavano i contadini.
La visita prosegue negli ambienti del piano terra.
Sono qui esposti alcuni attrezzi utilizzati dal contadino per il lavoro nei campi come falci, falcinelli, roncole e zappe.
Tra questi di particolare interesse:
- La carriola con la quale la contadina portava al fiume il catino con il bucato da risciacquare; qui lungo le sponde del Tevere inginocchiate su delle lastre di pietra grazie alla corrente le donne potevano terminare il lavaggio. Poi tornavano a casa e mettevano la biancheria ad asciugare sulle siepi durante le giornate di sole o nell’essicatoio d’inverno. Il lavaggio delle lenzuola si effettuava non più di una volta al mese per non consumare eccessivamente i tessuti.
- Il portacote, è un corno di bue svuotato, che il contadino agganciava alla cintura, al suo interno metteva un po’ di acqua e una piccola pietra, la cote, di forma allungata che utilizzava poi per affilare il
- L’erpice, viene passato sul terreno per rompere la crosta che vi si forma dopo qualche giorno di siccità, prima di procedere alla semina. Il suo utilizzo segue quello dell’aratro che va più in profondità sul terreno e quindi l’erp ice serve a rendere più soffice lo strato superiore del campo da seminare.
Adiacente a questo ambiente si trova la “galleria” ovvero il luogo adibito alla conservazione di olio e vino.
Stalla
La stalla era il luogo in cui venivano ricoverati i buoi ed era situata nei locali sotto la cucina per trarre beneficio dal calore prodotto dagli animali stessi. Tipico il pavimento in pendenza con i vari scoli, per permettere la fuoriuscita delle deiezioni degli animali, realizzato con ciottoli provenienti dal vicino fiume Tevere.
- Il giogo, è l’arnese che serviva a tenere uniti i buoi in coppia, era realizzato di un legno sagomato a doppio collare con un anello centrale che pendeva e dove veniva inserito il timone del traino di aratri e carri usati nel lavoro dei campi.
- Lo svezzatoio, piccolo collare dotato di elementi in ferro appuntiti, veniva messo sul muso del vitellino, in modo che quando si avvicinava alla madre per prendere il latte, la pungeva e di conseguenza questa lo respingeva scalciando, obbligandolo poi per fame a brucare l’erba.
- Il boccaglio, è una rete metallica che messa sul muso degli animali impediva che si fermassero a mangiare mentre svolgevano il lavoro. In questo modo si rispettavano i ritmi delle faccende durante il giorno.
- Il battitore era utilizzato per battere il grano prima dell’invenzione delle moderne macchine da battitura. L’arnese è formato da due pezzi di legno accuratamente collegati con del cuoio, in maniera tale da permettere la rotazione del legno più corto.
- I trinciaforaggio erano degli strumenti utilizzati per sminuzzare il foraggio da dare agli animali. Ne sono presentati tre modelli di epoche diverse, dal più datato a quello più recente meccanizzato.
- Le gerle, grandi ceste in legno utilizzate per il trasporto di galline, polli e conigli. Le gerle venivano attaccate direttamente al basto, rozza sella in legno, usata per cavalcare asini e muli o per assicurarvi i carichi.
- La caniccia era invece la cesta fatta di giunco intrecciato usata per il trasporto a spalla dell’erba dai campi fino alle stalle.
Proseguendo nell’ambiente successivo si possono osservare vari tipi di torchi utilizzati per la produzione del vino, quelli orizzontali sono i più antichi e rari. In alto vi sono le pompe da spalla usate per dare il verderame e lo zolfo alle viti e preservarle da malattie.
Cantina
La cantina è riconoscibile per il pavimento in terra battuta, così da avere la temperatura più idonea alla conservazione del vino e del vinsan to. La cantina ospita come in passato tutti gli oggetti necessari alla conservazione del vino: botti, caratelli, damigiane, fiaschi e imbuti.
- I caratelli del vinsanto. Tradizionalmente il vinsanto veniva prodotto raccogliendo i migliori grappoli e quindi, facendoli appassire attaccati con spago e chiodi ai travetti della cucina. Fondamentale per evitare che marcissero era che tutte le operazioni fossero svolte nella fase di luna calante. Ad appassimento avvenuto le uve venivano pigiate e il mosto trasferito nei caratelli da cui era stato appena tolto il vinsanto della produzione precedente. Durante questa operazione si prestava particolare attenzione affinché la
feccia della passata produzione non uscisse dal caratello, in quanto la si riteneva responsabile della buona riuscita del vinsanto stesso, tanto da chiamarla “madre del vinsanto”.
Frantoio
L’ambiente conserva un antico torchio settecentesco donato al museo. Qui è stato ricostruito un locale legato alla produzione dell’olio. Insieme all’imponente macina in pietra con la mole a trazione animale, sono presenti due presse in legno, il grande cassettone a filtro di cotone, il camino e tutti gli utensili per attingere l’olio dal recipiente di decantazione.
La visita prosegue al piano superiore salendo le scale.
Cucina
La cucina era l’ambiente principale della casa colonica, qui si riuniva la famiglia patriarcale, è caratterizzata dal grande camino ancora annerito dal fumo attorno al quale si svolgeva la vita una volta finito il lavoro nei campi. Singolare è la presenza, all’interno della cucina, del forno che nelle case coloniche era normalmente collocato all’esterno.
- La scina o bucataro per il bucato. Con questi termini si indicava il grande recipiente di terracotta utilizzato per lavare la biancheria e per questo collocato accanto al camino in modo da facilitare il continuo apporto di acqua calda. Si usava mettendo all’interno la biancheria con cenere e sapone, fatto in casa con la soda e del grasso animale o vegetale. Al di sopra del bucato si stendeva un panno per far filtrare la cenere e per questo denominato cenerone. La cenere veniva usata insieme al sapone per il suo potere sgrassante, sbiancante e disinfettante. Veniva poi versata l’acqua bollente che filtrando il bucato usciva dal foro posto in basso, questo liquido era chiamato lisciva o ranno. Il ranno prima di essere gettato veniva utilizzato per detergere i pavimenti e quello più pulito, che usciva da ultimo, grazie al suo pot ere disinfettante si usava per lavare i capelli soprattutto dei bambini che facilmente prendevano i pidocchi.
- La madia, era utilizzata per preparare, far lievitare e conservare il pane. Nel ripiano superiore la contadina mescolava farina, lievito madre e acqua tiepida, ottenendo l’impasto per il pane che poi veniva cotto nel forno a legna. Il buratto, è un tipo di madia con all’interno una macina per separare la farina dalla crusca. Il pane veniva preparato
una volta alla settimana e a differenza di quello di oggi si manteneva morbido molto più a lungo. Il pane duro non veniva gettato: in Inverno si preparava la pappa con pane cotto in acqua calda, d’Estate si preparava la panzanella con pane bagnato e condito con olio, aceto e sale e nella versione più ricca si aggiunge vano pomodoro e cipolla.
- Il panaro in pietra serviva alla contadina per cuocere la tipica ciaccia al panaro, la pietra veniva messa a scaldare direttamente sulla brace. La ciaccia era l’alimento che sostituiva il pane ed era più veloce da preparare non necessit ando della lievitazione.
- Le brocche in rame servivano per attingere l’acqua dal pozzo o dalle sorgenti e portarla in casa dato che raramente erano provviste di acqua corrente.
- Il tostaorzo, serviva per tostare l’orzo direttamente sul fuoco prima di macinarlo con il macinino.
- Il togli-ricci, era uno strumento molto utilizzato in questa zona dove la produzione di castagne da sempre è parte integrante della nostra economia e in passato parte integrante della dieta del contadino. La farina di castagna infatti veniva utilizzata abitualmente per la produzione di alimenti in sostituzione di quella di grano più costosa e non sempre disponibile. Il togli-ricci serviva per togliere i ricci dalle castagne senza pungersi: la parte in legno protegge la mano che veniva calzata all’interno della maniglia, mentre nella parte sottostante vi sono allineate piccole lame trapezoidali in ferro che avevano la funzione di aprire il riccio.
- Lo sgrana-pannocchie, è una specie di lama trapezoidale in legno piantata su una base da tavolo usato per sgranare il mais. Questa era una semplice attività da fare la sera attorno al fuoco mentre si raccontavano storie e aneddoti ai bambini più piccoli spesso
direttamente coinvolti nell’attività di sgranatura.
Sala del cucito
In questo piccolo ambiente sono esposti alcuni oggetti usati dalle donne per il cucito e il ricamo come il cuscino da tombolo su cui si fissavano i fuselli utilizzati per realizzare preziosi pizzi.
Nella vetrina sono esposte vecchie fotografie, come d’usanza le poche che si avevano venivano messe in bella mostra. Particolare è la decorazione dei ripiani del mobile fatta ritagliando a mo di pizzo fogli di giornale non potendosi permettere quella in tessuto o cotone lavorato ad uncinetto.
- Il tabarro o faraiolo, è l’ampia mantella a ruota da uomo, solitamente nera, lunga fino ai piedi ed in tessuto di lana pesante che indossavano i vecchi in Inverno.
Camera da letto
L’arredo della camera era molto semplice in quanto solitamente vi dormivano in più persone della stessa famiglia. Appesi agli attaccapanni gli abiti dei contadini rattoppati e rammendati dalle abili mani delle donne.
- Il letto, in ferro battuto nero e lamiera decorata, con accanto i comodini e le immagini religiose a testimonianza della forte fede. Il materasso denominato saccone , per la forma a sacco, imbottito di foglie di granoturco dette puliche e le aperture per ridare volume allo strato di foglie.
- L’ arcuccio ingegnoso oggetto, necessario per proteggere i neonati dagli insetti e a salvaguardarli dal peso delle coperte. Costruito con verghe giovani, opportunamente spaccate e piegate, veniva apposto sulle culle o anche sopra al neonato quando stava nel letto dei genitori, proteggendolo da eventuali cadute o dal corpo dei genitori stessi.
- Prete, è il nome dato allo scaldaletto in legno a forma di doppio arco, utilizzato per riscaldare il letto nelle fredde sere invernali. Al suo interno veniva sistemato uno scaldino, detto monaca, pieno di braci ardenti coperte di cenere in modo da non produrre fumo, spegnersi troppo presto e soprattutto prendere fuoco.
- Il lettino con le fasce, per avvolgere i bambini appena nati. L’utilizzo delle fasce veniva dalla credenza che in questo modo i piccoli avrebbero avuto ossa più dritte e forti. La pratica di fasciatura è rimasta in uso, nelle campagne, fino alla prima metà del XX secolo e pian piano abbandonata.
- Il girello, per il bambino utilizzato affinché non corresse pericoli mentre la mamma svolgeva le faccende di casa. In questo modo si manteneva il piccolo in posizione eretta e sul fronte vi erano due piccoli incavi dove venivano messe piccole cose da mangiare. Sempre per il bambino il seggiolino dotato di apertura sulla seduta con sotto il vasino per i bisogni.
Stanza del Falegname
In questo ambiente sono collocati vari attrezzi molti dei quali realizzati dal contadino stesso durante l’Inverno quando il lavoro nei campi veniva sospeso.
Tra gli attrezzi conservati in questo locale vi sono: fucina, forgia, incudine, mantice, e fresa. Sono qui esposte alcune biciclette risalenti al XX secolo come quella del lattaio, quella del pellaio e la bicicletta della lavandaia.
Dalla camera da letto si accede al piano superiore
Stanza del Ciabattino (a sinistra)
In questo ambiente vi sono principalmente attrezzi usati dal ciabattino per la realizzazione e riparazione di scarpe e di zoccoli, con quest’ultimo termine si vuole indicare le scarpe chiuse che avevano la pianta in legno e le suole rinforzate in ferro affinché durassero il più a lungo possibile.
Vi sono qui esposti altri oggetti tra cui:
- Catrappole, trappole di varie grandezze per topi.
- Tagliole piccole e grandi usate per catturare volpi e lupi pericolosi in quanto spesso si avvicinavano all’abitazioni e mangiavano gli animali del contadino.
- Campanacci di varie dimensioni che venivano messi al collo degli animali lasciati al pascolo per controllarne gli spostamenti.
Granaio (a destra)
Il granaio era considerato il luogo più asciutto e ventilato della casa, per questo vi veniva conservato il grano. Qui possiamo vedere vari macchinari utilizzati per la lavorazione del frumento come bascola, macinino e crivello.
- Il crivello o gigliara, era utilizzato per setacciare i semi del grano, ovvero per separarli dalle foglie e dalle impurità. Appesa al soffitto veniva fatto roteare e sobbalzare in modo tale da lasciar passare il seme e trattenere al suo interno tutto ciò che non era commestibile. Stesso attrezzo e analogo procedimento erano usati anche per prodotti, come ceci e fagioli.
Sono qui esposti gli strumenti e i macchinari per il trattamento della canapa e quegli oggetti come telai, filaretti, navette, rocche, aspi, fusi e arcolai occorrenti per i lavori di filatura e tessitura.
- L’arcolaio è uno strumento semplice che veniva utilizzato per dipanare le matasse e farne gomitoli.
- Il filatoio o filatoro veniva usato per trasformare le fibre tessili in filato o filo mediante la torcitura.
- La gramola o maciulla, che per mezzo di due assi di legno maciullava gli steli di canapa o di lino per separare le fibre legnose dalle fibre tessili. Il nome gramola deriva dal fatto che le tavole di legno, urtandosi, emettevano un suono simile al “gracidare delle rane”.
Stanza della salata
Nel piccolo ambiente in fondo al granaio è stata allestita una tipica stanza da salata che aveva la funzione di mantenimento e conservazione della carne del maiale sotto sale. Qui vi sono conservati tutti gli strumenti utilizzati per l’uccisione e la fase di macellazione del maiale.
- Il coratoio, con questo ferro appuntito veniva ucciso il maiale. L’utilizzo di questo arnese era prerogativa di pochi e sapienti uomini visto che doveva arrivare al cuore con un solo ed unico colpo ben inferto. Il macellaio passava di podere in podere per assolvere a questo difficile compito.
- La battilarda, era il tagliere che serviva per battere il lardo; questo grasso suino era utilizzato in cucina per il condimento e il mantenimento degli alimenti. Disciolto ad alte temperature veniva utilizzato per friggere al posto del più costoso olio di oliva .
- L’insaccatrice, facilitava il compito del norcino nella preparazione degli insaccati così denominati perché la carne macinata e sapientemente aromatizzata veniva inserita nel “sacco” ovvero nelle viscere o budella del maiale stesso precedentemente pulite e preparate.